Caro Massimo,

mi è toccata in sorte la più difficile delle orazioni: quella in memoria del principe delle discussioni!

Ma non mi posso sottrarre, lo debbo ad un caro amico, ad un inimitabile maestro.

Che Tu sia stato un principe vero lo ha già scritto ieri – commuovendo noi tutti – un cronista di giudiziaria, che ha ricordato di averTi ascoltato in Corte di Assise tanti anni fa e di essere rimasto affascinato dal Tuo tratto signorile e, soprattutto, dalla Tua maestria di avvocato; ma noi, oggi, lo vogliamo ribadire: sì, sei stato un principe, in un mondo che pur non sa più riconoscere la nobiltà!

Quando entravi in aula, il passo elegante il viso aperto, sembrava che tutti, colleghi, magistrati, cancellieri ed imputati altro non attendessero che il Tuo intervento.

E quando prendevi la parola, il brusio del pubblico d’ incanto si placava e l’ attenzione di tutti si concentrava su quello che andavi dicendo, meglio, spiegando.

Noi colleghi ti ascoltavamo sempre, anche quando non eravamo interessati al processo, poiché eravamo certi di imparare molto; i magistrati, pure, stavano attenti, sicuri che gli avresti esposto le ragioni del Tuo difeso senza strepiti, ma in modo cristallino.

La forza invincibile della Tua parola, infatti, è, a mio giudizio, sempre stata la chiarezza, una chiarezza analitica, che, ci hai insegnato, era frutto della piena conoscenza delle carte processuali, senza la quale anche il più fine dicitore può smarrirsi, e dello studio profondo delle norme, che è alla base di qualsiasi arringa.

Caro Massimo, quanto Ti piaceva il “nuovo” processo penale!

Eri lieto di poterTi confrontare con i testi dell’ accusa e con il Pubblico Ministero in un contraddittorio mai sgarbato che, secondo la Tua corretta visione del processo, doveva portare ad una decisione di per sé giusta, proprio perché la sentenza era il frutto del leale dibattito in aula tra accusa e difesa.

Non Ti ho mai sentito dir male di un giudice né di una sentenza, anche quando entrambi l’ avrebbero meritato.

Non si creda che questo mio ricordo indulga troppo sul “forense”: le aule di giustizia sono state la Tua vita!

Penso, infatti, di poter dire che per Te, come per la gran parte degli avvocati penalisti che oggi mi onoro di rappresentare, il Tribunale costituisca una specie di dimora, ancora più privata di quella familiare, poiché è l’ unico luogo in cui è possibile convivere con il demone dell’ ansia di giustizia, che noi tutti ci portiamo dentro e di cui ci crediamo interpreti.

Insieme alle emozioni che questo straordinario lavoro, che abbiamo imparato a fare anche grazie a Te, ogni giorno ci consegna.

Le emozioni, che quella toga a volte contiene, a volte esalta.

Ho vivissimo nel cuore il discorso che pronunciasti il 10 maggio scorso quando, con gli amici del Direttivo, pensammo di premiarTi quale decano del Foro e fondatore dell’ Unione delle Camere Penali: eri felice del riconoscimento che Ti avevamo tributato, offrendoTi la piccola targa nella quale avevamo scritto che ti consideravamo “Il maestro di tutti noi”.

E ricordasti che avevi potuto portare con onore per 50 anni quella toga perché la Tua schiena era sempre rimasta dritta come deve sempre essere quella dell’ avvocato difensore, che, ci dicesti, è l’ ultimo baluardo contro le ingiustizie dell’ autorità, il custode della speranza del condannato.  

Fui colpito perché scoprii la Tua voce incrinarsi per l’ emozione.

Avemmo tutti la conferma, allora, che la toga era la passione della Tua vita e che dopo tanti anni non si era per nulla sopita e Ti garantiva un sostegno! E questo fatto ci confortò molto, poiché pensammo che il miracolo poteva ripetersi anche per noi.

Oggi ci accomiatiamo da Te, giammai dal Tuo insegnamento e dal Tuo ricordo: abbiamo scritto che Ti eleggiamo a nume tutelare delle nostre battaglie a tutela dei diritti e delle garanzie del cittadino.

Siamo certi che le seguirai anche da lassù, magari accompagnandole con il Tuo celebre, seducente sorriso.

            Ciao Massimo!

Luigi Petrillo